sabato 4 luglio 2020
Un bisogno morboso di sentirsi capiti
Dentro ti senti morire. Morire di qualcosa che hai progettato e realizzato con le tue stesse mani. E, più il dolore dentro di te aumenta, più i pensieri cupi, tristi, pericolosamente nocivi affiorano alla tua mente: improvvisamente ti sembra di soffocare, di non respirare, ma soprattutto, hai l’impressione di non meritarti più niente, nulla, nemmeno la tua stessa vita, nemmeno tutto l’amore che hai ricevuto e ricevi dalle persone che ti stanno accanto. NO, non c’è pi] nulla che ti sembra poterti tenere in piedi, almeno questo è quello che pensi in mometi come questi: momenti in cui molleresti tutto, smetteresti di lottare, smetteresti pure di vivere, pur di affievolire il fuoco che si ci port dentro: il fuoco della morte. Un fuoco che ti prende tutto: cuor, testa, stomaco gettandoti sempre più negli bbissi della malattia. E mentre tutto questo dolore ti schiaccia, ti spompa, perdi pure le forze di combattere, lottare per poterla cambiare. A forza di combattere, ti senti strenuato, primo di forze e di parole: non sai più cosa dire, cosa pensare, perché la malattia ha già deciso per te: ha deciso che tu devi continuare a farti male. Un male che ti prende tutto ciò che c’~ nel cuore, persino quelle lacrime: quelle con cui, col passare del tempo, impari a parlare, communicare, in qualche modo, manifestare il propro dolore. Il problema, è che più provi a commnicare attraverso ve traverse, nessuno, anche colui che ti conosce al meglio non riesce a compredert: a comprendere quanto sia grande il peso che ti porti dentro. Un peso che non senti sono nell’animo, ma anche nel corpo. Quel copo stlacciato, deturpato, rovinosamente distrutto, ci ha provato a farsi capire, a farsi sentire, ma in queto odo nessuno l’ha potuto ascoltare, vivere, percepire. E, più provi a combattere perché gli altri riescano a percepire, anche in minima parte, ciò che si sta vivendo, non ci riesci e, meno ci riesci, più ti sembra tutto iraggiungibile, impossibile. In altre parole ti sembra di star combattendo una battaglia persa già in partenza, dove comunque i caduti sono tanti, troppi. E più ne perdi, più hai l’impressione che tu non puoi farci nulla, se non continuare a combattere come stai già facendo, consapevole che alla fine sarà lei, la malattia, a rubarsi tutto di te, i tu: sogni, le tue speranze, i tuoi affetti. Insomma, tutto ciò che ci appartiene. E mentre la morsa della MORTE ti divora, ti distrugge silenziosamente, tu cerchi di andare avanti, di tirare fuori tutta la forza che possiedi per vivere almeglio i giorni che ti restano. E, mentre ci provi, mentre cerchi di rialzarti, di rimetterti in sesto, ti rendi conto che l’unico modo per provare a capirsi, ad ascoltarsi, è PARLARSI: non necessariamente con le parole, quelle a volte distruggono, allontanano, impediscono di poter dilogare col cuore. Quel cuore che ha bisogno di un’infinità d’amore, di conferme. Così tante che non potrebbe bastare una vita per poterle ricevere. Ed è propro qui che si ci rende all’evvdenza: si ci rende conto che ciascuno di noi, fa il proprio meglio per stare bene e, di conseguenza, rendere un po’ più felice, chi ci sta vicino ogni gioqno. Mentre queste parole escono come un fiume in piena dal mio cuore, mi rendo conto di quanto sia vera la massima che dice che le parole possono essere finestre, ponti, allo stesso tempo, possono divenire anche muori, gabbie da cui è molto difficile liberarsi. In altri termini il linguaggio può essere considerato nostro salvatore, capace di costruire reti forti, importanti capaci di farci, in qualche modo, stare bene con noi stessi e con gli altri. Allo stesso modo, si ci può trovare in circostanze in cui entrare in relazione diventa alquanto complicato: ti trovi improvvisamente a non poterle più utilizzare quelle parole, perché da risorsa, possono divenire un limite. In altre parole, possono impedici di avicinarci, almeno col cuore.
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