Il dolore parlante!

Ora che vi o raccontato come sono andati questi anni, è arrivata l’ora di racontarvi di me, di come sono andate le cose dal punto di vista emotivo, nell’ultimo anno e mezzo. Sapete bene che questo blog è uno spazio in cui parlo delle mie emozioni, dei miei stati d’animo, ma soprattutto delle paure con cui mi sono trovata a confrontarmi in quest’ultimo periodo della mia vita. Come dicevo nei post precedenti le situazioni vissute sono state svariate, fra andarmene di casa, prendere un appartamento in affito, viverci per due anni intensisimi e decidere di acquistare casa mia con il mio ragazzo. Nel mezzo di queste scelte che sono sepur fondamentali, ci sono stati dei momenti in cui sono stata tanto, tanto male. questo sia per la mancanza di mio zio, ma ance per i miei momenti contorti che vivo con l’alimetazione e il mio corpo. Sicuramente, rispetto a quando ero dai miei il mio rapporto col cibo è cambiato molto, sepur ci sono ancora dei momenti di disorganizazione. Una disorganizazione che si estene non solo nel cibo, a anche nella gestione del mio tempo e soprattutto nella gestione del sonno. Quando queste due cose sono disregolate, anche il mio rapporto col cibo e col corpo si scompensano molto in fretta. In più come ho sempre detto, io non sono per nulla maestra della costanza, anzi, il mio forte è l’improvisazione, l’essere libera e decidere cosa fare della mia vita di volta in volta. Questo però non sempre coicide con il mio corpo e quindi con la mia salute: lui ha bisogno di ritmi e sporatutto di essere preso in braccio con costanza, senza dimeticarti mai della sua presenza. Questo per me è un allenamento costante, perché non sempre, anzi molto raramente, riesco a prendermi cura di me stessa e del mio corpo. E a proposito del mio corpo c’è stato un momento che lo odiavo così tanto da procurarmi tagli sulle gambe e le braccia. Non vi dirò come lo facevo, ance perché è poco rilevante, quello che però posso dire con fermezza e che aveniva in un periodo molto brutto della mia vita: il peso delle emozioni che vivevo in comunità psichiatrica dove facevo servizio civile avevano incominciato ad angosciarmi, quasi a seppelirmi dietro all’angoscia che sentivo ogni giorno; ma poi la morte di mio zio aggiunta all’odio che ho e avevo per il mio corpo sono stati fattori scatenanti per un buon periodo della mia vita. Fortunatamente il mio ragazzo se ne è accorto in fretta e grazie al suo aiuto e alla presenza dello psicologo che mi seguiva all’epoca sono riuscita a uscirne smettendo di farmi del male fisicamente. Questo non mi ha impedito di continuare usando il cibo come misura di compenso alle emozioni che mi facevano male, ma soprattutto per non pensare a come mi sento e mi sentivo nei confronti del mio corpo: ancora dopo anni, per quanto il mio rapporto col cibo sia cambiato molto,  mi sento enormemente troppo. Troppo piena di emozioni, ma soprattutto troppo grande per chiunque mi guardi. Si da una parte desidero, necessito quasi di vole essere vista, dall’alra, come è stato sempre, voglio risutare invisibile perché così tutti possono lasciarmi stare ed eviare di guidicarmi esteticamente. Tutti mi dicono che sono “bella” e forse è vero, ma quando me lo dicono, mi sembra quasi superduo, perché credo che stiano solo sotolineando quello che è il mio corpo. La verità è che quando il mio ragazzo me lo dice, capisco che è anche dentro, di cuore e allora non mi da fastidio, ma quando lo fanno gli alri, mi sembra come se metessero in mostra un corpo che vorrebbe solo essere invisibile, non visto. A volte, mi piacerebbe che solo la mia anima, la mia voce fossero presenti e che il mio fisico fosse assente. Naturalmente questo non è possibile, ma fa capire quanto un po’ per come mi anno fato sentire, un po’ per come mi giudicavo io, che per quanto si possa cercare un equilibrio alimentare e fisico, che certi retaggi del disturbo alimentare si presentano ancora. Un esempio è quando mangio troppo e mi sento gonfia, pure in quelle circostanze vorrei sparire, ma so perfettamente che depo portare pazienza e superare quel momento di paura o sconforto che sento dentro. Naturalmente, conoscendo il mio corpo, ho imparato a non esagerare, anche perché lui mi sa dare i segnali per farmi capire che sta male, ma ancora oggi casco nell’alimentazione disorganizzata. Questo perché per trovare un equilibrio serve tanta energia e quando tutto ciò lo fai con l’aiuto di poche persone, disconesse fra loro, non è facile farsi aiutare. Fino ad ora ci sto provando e cercando di non sentirmi troppo in colpa sto cercando di dirmi che piano piano andrà sempre meglio. I tagli sono finiti, ma la fatica ad accettare il mio corpo e certe parti del mio corp, nonostante abbia qualcuno che mi ama, faccio ancora fatica ad accettarlo. I tagli erano l’alternativa al cibo, un altro modo per evitare di stare troppo male fisicamente, ma ad un certo punto ho capito che non poteva andare avanti così. Questo soprattutto dopo che il mio ragazzo se ne è accorto e mi ha detto: “tu non devi fare qualcosa per gli altri, per i medici che vogliono aiutare, tu devi fare qualcosa per te, per fare stare bene te stessa”. Da quel momento, per quanto possa sgarrare molte più volte, posso dire che ci sto provando molto di più. Inoltre dopo il servizio civile o imparato a conoscere meglio l’ansia, che probabilmente avevo anche prima, ma non la conoscevo così bene: un ansia che a volte, in certi casi, mi ha totalmente paralizzata, quasi impedendomi di portare avanti qualsiasi cosa. Sì, penso che fosse quell’ansia a impedirmi di continuare l’università: l’ansia per gli esami, ma soprattutto per le aspettative che tutti avevano nei miei confronti. D’altra parte, risalgono proprio agli anni dell’università i miei attachi di panico più pesanti. Oggi esistono in maniera molto più ridotta, si presentano soltanto quando mi trovo ad affrontare emozioni che mi generano frustrazione. Quello ce cerco di fare per affrontarla è di lasciarla correre e di non dargli troppo peso, perché se la enfatizzo diventa ancora più pesante e difficile da gestire. Se invece lascio perdere, passa e riesco ad affrontare quella data situazione in maniera più tranquilla. Questo non significa che non esiste, nzi, penso di riuscire a darle un nome e riconoscerla molto più in fretta, facendo così ho modo di verbalizzarla a chi mi sta vicino e quindi riesco a gestire tutto in maniera più serena. Naturalmente quegli anni di depressione, in cui l’angoscia faceva da padrona alle mie giornate, è stata fondamentale per la mia crescita personale e per aiutarmi ad affrontare meglio, ora che sono un po’ cresciuta, cert momenti complicati e difficili che mi trovo ad affrontare. Ciò nonostante, i momenti in cui la pazienza finisce, in cui non ho voglia e che resterei a letto ci sono sempre, non mancano mai, ma a differenza del passato ho imparato a non farmeli pesare troppo. Questo perché so che come sono arrivati, a un certo punto se ne andranno e daranno luogo a emozioni diverse, nuove, meno angoscianti.

Un'altra cosa di cui mi sono resa conto, è che in passato pasavo molto fra emozioni negative vissute all’estremo e momenti più positivi e forti in altri momenti. Nessuno mi ha mai fato una diagnosi, ma a volte mi sembra di avere il sospetto di vivere dei periodi molto lunghi di umore basso, alternati a dei momenti in cui il mio umore è più alto e quindi più ottimista. Questo è solo un mio sospetto, anche perché rispetto al passato, questo  cambio di umore da basso ad alto e vice versa, non è più così evidente, anche se si presenta appunto variabile  in alcuni periodi dell’anno, in particolare in autunno,  inverno e prima vera. Questi sono i periodi in cui l’umore cambia molto. Lungi da me fare diagnosi errate, penso solo che forse il mio umore è stato coivolto molto dalle esperienze che ho avuto in passato e che forse, mi sono trainata da mia mamma, parte di questo tratto carateriale, in cui lo stato dell’umore cambia molto in fretta da positivo a negativo. 

  Queste consapevolezze, acquisite negli ultimi anni, sono derivate da un lato dall’osservare in maniera distaccata e fredda i comportamenti di mia mamma e di mio fratello, al contempo ance dall’esperiena fatta all’interno della salute mentale. In quel contesto avevo a che fare con le emozioni vissute in maniera estrema e ho imparato a conoscere meglio quelle che erano le varie emozioni, stati d’animo e quelle che erano le varie situazioni di sofferenza. Ciò nonostante penso ce oltre alla malattia mentale esista anche il carattere delle persone, che non deve far dimenticare che prima tutto si è persone e in quanto tali, non sempre si comportano bene. Questo significa che per quanto riconosci la malattia, devi sempre ricordarti che in quanto persone anche loro fanno i loro errori e che come tutti anche loro hanno la possibilità di trovare lo spazio giusto nella vita. Devono solo essere più pazienti, perché a differenza di molte persone necessitano di più tempo. Un tempo che è prezioso per aiutarci ad affrontare la via con magiore forza e determinazione. 

 

 

    

   

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