Se per me questi sono stati anni stimolanti in cui ho imparato molte cose e ho trovato l’equilibrio che mi serviva per stare bene e vivere la mia vita con la serenità che serviva per affrontare anche i momenti difficili con la sanità mentale necessaria. Ciò non significa che è stato tutto roseo e fiori: ci sono stati momenti di grande difficoltà sia per me e il mio ragazzo, ma anche per le nostre famiglie. Naturalmente in questo blog parlo di me, di quello che vivo e di quello che faccio ogni giorno, quindi mi limiterò a parlare di quello che è sucesso all’interno della mia, fermorestando che siamo sempre stati uniti in tutti i momenti di estrema sofferenza.
Inanzitutto devo dire che quando scrivo qui, lo faccio sia per aiutare chi ha vissuto o vve situazioni simili, ma soprattutto per un benessere mio personale. Questa è sempre stata la ragione per cui ho aperto questo blog e per cui penso di continuare ancora oggi, dopo tanti anni che condivido quello che sento. Al di là di questo, posso dire che sono stati degli anni tormentati per la salute dei miei famigliari, in particolare di un mio zio e di mio padre. La cosa particolare è che sia quando ho scoperto la malattia di mio zio che quella di mio papà non ero a casa. Nel primo caso ero ancora a Trento, in università, nel secondo vivevo già a Rovereto assieme al mio ragazzo. In entrambi i casi, queste communicazioni sono avvenute tramite messaggio da parte di mio fratello: anche questo non lo ritengo un caso, in entrambe le circostanze è toccato a lui darmi queste comunicazioni. Naturalmente non ho mai ritenuto che questa scelta fosse la migliore: credo che avrebbero dovuto farlo i miei genitori, ma naturalmente avevano paura, almeno questa era la sensazione che avevo. Penso avessero paura di affrontare l’argomento al telefono: avrebbero forse voluto vedermi, ma io putroppo avevo posto distanza nei loro confronti. Questo non per cativeria, ma perché mi rendevo conto che non riuscivamo a comprenderci. Si, spesso i miei genitori esageravano nel imporre le proprie scelte e soprattutto nel communicare quello che volevno da me, tanto da arrivare a momenti di violenza. Loro non hanno mai dichiarato che quei momenti dipendevano anche da loro, ma anno sempre deto che era colpa mia. Quello che penso è che le responsabilità erano reciproche e che impormi le loro scelte solo perché erano quelle giuste secondo loro, non ha mai funzionato con me, tanto che ho sempre cercato di fare quello che sentivo anche se non sempre era semplice. Penso infatti che nonostante non fossi libera di essere me stessa totalmente, ho sempre cercato di navigare in quel clima fatto di pesantezza e sofferenza continua. Tutto era pesante sia perché non ero libera, ma soprattutto perché le emozioni erano comunicate con il silenzio: un silenzio pesante che dovevi interpretare ogni volta. E a un certo punto, capendo che non ci saremmo mai compresi, ho deciso di andarmene di casa. Ci hi conosce bene sa perché ho portavo aanti quella decisione e soprtutto perché pensavo che tenere i miei genitori alla larga dalla mia vita, fosse giusto. Giusto per crescere per imparare ad essere donna. Sì avevo bisogno di quello spazio, di sbagliare per capire cosa fosse giusto; ma soprattutto sperimentare la vita che non era solo fatta di sofferenza e fatica, ma anche di tanta gioia e soddisfazione. In altre parole avevo bisogno di uscire dalle dinamiche di potere nelle quali mi sentivo ingabbiata: si quando ero li mi sembrava mi macasse il fiato e soprattutto mi sembrava di non andare mai bene. Qualsiai tentativo facessi per migliorare le cose, sembrava non andare bene, quasi che era necessario sotolineare ogni cosa. Per questa ragione appena sono andata via mi sentivo meglio, almeno apparentemente. Questo per dire che se da una parte sono stata costretta ad andarmene, dall’altra andarmene era la cosa giusta. Ciò non significa che non ne abbia sofferto: il primo anno fuori casa non avevo assolutamente voglia di vivere, di provare a mandare avanti la mia vita, questo perché pensavo che non valeva la pena di combattere. Mi sentivo un po’ come il guerriero che cadeva in guerra che aveva bisogno di fermarsi per metabolizzare la sua sconfitta. Questo tempo come dicevo è durato quasi un anno in cui tutto è andato perduto, in cui avevo messo in strambai totalmente ogni attività che avevo prima del covid. Si andarmene fu uno shock, ma col tempo sono riuscita a trovare il mio equilibrio, anzi siamo riusciti a trovare il nostro spazio, la dimesione necessaria per capirci e stare meglio.
Vi raconto queste cose non per recriminare qualcosa, lo ha già fatto qualcuno al posto mio qualche tempo fa, ma solo per dire il mio punto di vista e spiegare come sono andate le cose almeno dalla mia prosettiva. Quella degli altri è importante, ma non fondamentale. Questo per dire che a quegli eventi io c’ero e posso narrare come sono andate le cose dal mio punto di vista, che pur misero, credo possa bastare. Al di là di quello che si può pensare se penso a quei periodi in cui non riuscivamo a comunicare posso dire che quelle sofferenze mi colpirono fortemente, quasi mi scioccarono, ma agli altri non feci notare nulla. Sembrava come se fossi rimasta impassibile difronte al dolore. La verità è quando presi le distanze nemmeno io avrei voluto sapere certe cose tramite un messaggio, ma piuttosto in faccia, dal vivo, ma loro ritenevano giusto fare in questo modo, usando mio fratello per fare da tramite. Questa però non era una novità, a volte lo facevano di usarlo per comunicarmi le cose che pensavano, piuttosto che farlo direttamente loro. Traresto mio fratello fino a un anno fa (e ancora oggi, senza dirmelo direttamente) ha voluto e vuole fare da tramite, ma ad un certo punto ha apertamente dichiarato di starsene da parte. Anche questo posso dire che non ho sempre capito, almeno non ho mai capito quale sia la sua posizione: secondo me dire quello che penso a volte gli fa comodo, altre volte stare da parte al contempo gli conviene. Quindi come un tempo, anche oggi st un po’ dalla parte che gli interessa, in base a quello che gli fa comodo. Dopo quei tempi in cui allontanai i miei dalla mia vita e mio fratello cercava di avicinarmi, io ho ripreso ad avere rapporti con la mia famiglia, ma non per questo sempre comprendo le loro scelte, le cose che pensano ele decisioni che a volte portano avanti al di là di come la penso. Sì, spesso vorrebbero che andassi da loro, ma io non sempre vado, a volte mi invento anche delle scuse per fare quello che sento, un po’ come facevo quando ero da loro, ma questo ritengo sia l’unico modo per non perdere toalmente i contatti. Non a caso, mia mamma oggi invece che dirmi le cose, mi fa capire in silenzio che non è d’accordo, ma rispetto a un empo si guarda ben dal dirmi troppo, questo penso perché ha paura di perdermi.
In tutto queto voi mi chiederete perché non provo a dire quello che penso con sincerità? La risposta è che dire tutto può mettermi a rischio perché non ho più modo di scegliere liberamente. Spesso mi trovavo in mezzo a due fuochi: loro che vorrebbero impormi ogni cosa e io che vorrei poter fare quello che sento. Per mettere insieme queste due cose da una parte cerco di fargli fare quello che vogliono per evitare scontri e dall’altra appena posso cerco di fare quello che sento senza dirgli esplicitamente come stano le cose. Questo equilibrio distorto, per ora è l’unico che trovo fattibile per non stare troppo male e soprattutto per evitare di ricevere giudizi/pareri non richiesti. Dall’altra il mio atteggiamento di portare pazienza e accettare certe cose deriva dal fatto che so che su certe cose non ci capiamo, quindi per evitare scontri inutili accetto mal volentieri le loro decisioni. Ciò non significa che non mi fa male, ma forse credo che sia il male migiore. La cosa giusta credo che sarebbe essere sinceri da parte mia, ma al contempo fare in modo che loro non siano pesanti e insistenti per ogni cosa che gli dico. Ad oggi posso solo dire che questa lotta di imporsi e esprimere la mia, è ancora in atto, ma quello che mi rende serena ad oggi, è che riconosco che è una responsabilità reciproca, senza arrabiarmi con il mio ragazzo e quindi capisco che la mia non è la soluzione migliore, ma fino a quando non ne ho una migliore, credo che continuerò a usare questa strategia. Ripeto, questa non è quella giusta, ma quela che mi fa soffrire meno. E voi ne conoscete un’altra, una meo dolorosa, che aiuti a non arrivare al conflitto ogni volta, io sono la prima ad ascoltarla. Al di là di tutto ad oggi le due persone che sono state male una è presente: mio papà con il quale ho un raporto discreto (diciamo che come mio fratello li vedo volentieri, ma non sento l’esigenza di sentirli e chiamarli ogni volta cosa che invece deve accadere con mia mamma) e mio zio che invece è venuto a mancare a giugno del 2023. La sua è stata una morte straziante per tutti, con scenari che non conosco bene nemmeno io, ma quello che so è che da quando è arrivato in Italia per curarsi in poi è stata una battaglia continua. Una bataglia che purtroppo a un certo punto non ha potuto più portare avanti come avrebbe forse voluto. Sì, sono stati anni difficili, fra chenioterapie, raditerapie e farmaci di vario tipo, a momenti stava bene e a tratti alterni stava peggio fino ad un anno prima della sua perdita. Quell’anno è stato il più difficile per tutti perché lui non riusciva a trovare più terapie che potesero aiutarlo, se non terapie del dolore, che putroppo col tempo non riustavano più efficaci nemmeno loro. In quest’ultimo anno abiamo tocato la realtà delle terapie paliative e abbiamo sperimentato quanto è straziante vedere una persona soffire atrocemente senza poter fare assolutamente nulla. Sì, in quei casiti senti impotente e cerchi di far vivere momenti semplici ma importanti, che ti permettano di dare un po’ di normalità anche nello straordinario viaggio della malattia terminale. In questo viaggio quello che ho compreso è che il paziente/la persona ho bisogno di vederti forte, combattivo, almeno vuole godersi con te i suo ultimi tempi di vita, perché come tu sai, anche lui sa che quelli sono gli ultimi attimi che può viversi con te. E con questa consapevolezza, con la consapevolezza di dare un po’ di presenza, ho cercato di non piangere mai dnanzi a lui e questo è stato quello che gli ha permesso, oltre a un altro zio, di parlarmi fino a una settimana prima di andarsene.
Pure con lui, come per la magio parte dei miei parenti, ero solita vederlo e non sentirlo (questa è una mia carateristica che ho con tutti), ma ero molto legata sia perché ho passato granparte dellla mia infanzia (soprattutto d’estate) a casa sua, questo quando mi recavo in Albania per le vacanze estive. Inoltre, sempre quando ero piccola, lui si prendeva cura della mia nonna materna e quindi con quest’occasione era solito unirsi tutti (zii, cugini, nipoti) da lu, a casa sua. Quindi sì, dopo un distacco iniziale ho seguito entrambe le malattie e ho accompagnato mio zio fino alla fine dei suoi giorni. Come tutti, anch’io e mio fratello abbiamo sofferto molto e ancora oggi quando se ne parla fa molto male, ma da quel momento ho imparato a considerare la salute e la cura di questa in modo molto più serio di prima. Questo non significa che oggi faccia ancora alla perfezione, ma penso che rispetto a un temo sto riuscendo a prendermi cura di me e della mia salute molto di più naturalmente la strada è lunga, ma per iniziare biosgna fare piccoli passi, perché pensare di cambiare tutto dal’oggi al domani non funziona, almeno non con me. Per questa ragione ho contattato il medico della sindrome di Alstrom, ho ripreso da pochissimo ad arrampicare e spero di potermi dedicare sempre melio al mio benessere fisico e mentale.
Nessun commento:
Posta un commento