sento freddo ai piedi, un po' come sento fredno nel cuore. gli occhi piangono, il cuore mormora ciò che mi trafigge. ho paura, ho paura del giudizio degli altri e allora proteggo il mio dolore. ho paura di sentirmi ancora ferita, ma nessuno può saperlo. ho paura di essere giudicata nelle mie scelte, ma ho solo bisogno di fiducia. di sentire quella fiducia che sento sempre più sgretolare sotto i miei occhi e chi non comprende, chi non capisce, chi dice che faccio scelte scelerate, come se non fossi consapevole dei rischi, sta sbagliando. cavoli, ho solo bisogno di vivere, di sentirmi viva, ma poi alla fine dentro mi sento morta. la stessa morte che ha saputo atraversarmi in un anno così complicato e difficile. perdere uno zio, il tuo punto di riferimento, il tuo "quasi" papà, nonno, fratello, amico, è dolorosisimo. la vita dicono tutti va avanti, ma nessuno pensa che dentro ti senti a pezzi: ti senti distrutto. provi a pensare che stai vivendo qualcosa di forte e pensi che sia lui (da là su) a regalarmi tante cose belle, tanta protezione eppure dentro mi sento a pezzi. Quando si perde un figlio tutti ti dicono che ne farai un altro, ma nessuno sa che magari quell'altro non può venire oppure non sa quanto per chi ha una sindrome rara come la mia, cosa vuol dire. e poi ci sono i medici che usano parole fredde, come rischi, controindicazioni, pericoli, che si dimenticano del cuore. quel cuore che ora si sente distrutto, che dentro sente di aver perso un'opportunità. ma per me l'oportunità più grande per ora è crescere grazie a quest'esperienza e continuare a vivere giorno dopo giorno. lo devo a me stessa, a mio zio e alla creatura che ho portato dentro: devo provare a cambiare ciò che mi fa stare male. e ci sto provando cavoli. ci cavoli, ci provo a fare del mio meglio per stare bene, per provare a non farmi divorare ancora una volta dal desiderio di mollare tutto. mollare tutto come feci in quel anno che mi ha fatto stare a letto sempre. ho paura di ricaderci ogni volta, perchè so cosa vuol dire non avere la forza di vivere. so cosa è la depressione e ho sempre paura di ritrovala.
sì nel 2021 appena uscita di casa, dopo quel periodo terribile che vivevo a casa dei miei, pensavo che le cose sarebbero andate meglio, invece non è andata così. per un anno intero (e non scherzo) non sono riuscita più a fare niente e poi quando provai a dare quell'esame preparato in poco tempo sentii che non c'è la potevo fare. e allora da li non ci ho più provato. in quell'anno sono stata leteralmente a letto (uscivo per il minimo indispensabile ma non riuscivo a fare nulla), oggi invece riesco almeno a tenere attive le piccole cose, quelle che mi dano vita, che mi fanno sentire viva. quelle in cui c'è qualcuno che mi aiuta, che mi sostiene nel svolgere quell'attività. e allora come dicevo quando ci sono gli altri rendo meglio: perchè la mia convinzione è: da sola non c'è la posso fare, non c'è l'ho mai fatta. la verità è che certi cambiamenti come quelli della salute, gli ho fatti totalmente da sola.. e allora forse la questione è crederci. credere che posso farcela, che posso fare la differenza. stasera ho contattato una persona che ho coivolto pio l'ano scorso in servizio civile, dicendomi che un'attività che avevo messo in piedi sta andando avanti. ciò mi ha dato gioia e ho detto: allora forse sono riuscita a lasciare il segno. e la persona mi ha risposto: ma tu lasci il segno un po' da per tutto. mi ha fato piacere, non solo perchè si è tenuto conto del lavoro fatto, ma sopratutto perchè mi sono sentita RICONOSCIUTA in qualcosa. questo bisogno di essere riconosciuta, di sentirmi validata nelle cose che faccio è una cosa che mi porto da quando sono bambina, cose, come se facendo meglio avrei avuto maggiore aprovazione e quindi amore. ecco, sentirmi riconosciuta è un po' come dirmi: tu vai bene, quindi meriti di essere riuconosciuta. tu non vai bene/fai male/ti comporti male col cibo, allora niente riconoscimento, niente amore da parte delle figure a cxi tengo.
in altre parole: riconoscere la mia componente emotiva è un po' come riconoscere me e quindi considerarmi per quella che sono, non per quello che vogliono (e volevano) gli altri io fossi.
e mentre sono qui che cerco di rimuginare sulla giornata, piangendo, emozionandomi, arabiandomi, tardando così il sonno, forse ho capito cosa mi spaventa dell'università: forse sono i giudizi. quei numeri ancora tornano, come se misurassero la mia persona. ma spesso sono le parole, oltre che i numeri, che ti pesano e sopesano, sminuendo il tuo impegno, la tua fatica, il tuo dolore. e magari in quel dolore ci sono le notti in bianco, la fatica di studiare, la salute in bilico per delle abbufate... le stesse che durante gli esami mi distrugevano lo stomaco per via dell'acidità. no, naturalmente chi avevo davanti non poteva sapere: non poteva sapere ciò che stavo vivendo, ma per via delle mie fatiche avevo la sensazione di rendere molto meno di quello che avrei potuto. e poi esistevo io: che non condividevo nulla, che stavo male e basta. all'epoca c'era il cibo che controllava la mia ansia, oggi il cibo c'è molto meno. e allora come posso controllarla quella ansia? come posso controllare tutto questo casino di emozioni che sento dentro, anche nelle giornate più calme?
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