sono qui sul letto, nel tentativo di trovare le forze, l'energia per andare avanti. e improvisamente, guardando alcuni video di una persona che ho conosciuto ad alcune manifestazioni del Fiochetto Lilla, quel freddo che mi portavo dentro improvisamente mi si è sciolto tutto. è come se avessi bisogno di vivere relazioni intense, di vivere contatti forti che possano darmi emozioni. non mi basta stare accanto a qualcuno che mi vuole bene. sì, so che che se ho bisogno c'è sempre, ma ho bisogno di fare il colmo di emozioni. e pur di sopravivere, di resistere, mi congelo dentro al mio guscio di fatica, di sofferenza. so che vivere quell'emotività significa metersi in discussione, provarci, ma so perchè mi tengo aganciata alla mia sofferenza: lei mi sostiene, mi tiene in piedi, mi ricorda che ho bisogno di vivere e non sopravivere. sì avere contatto con la mia sofferenza, con il mio casino interiore, è un modo per resistere, per fare i pugni con la vita, cercando di avercela vinta. la verità è che fin a quando farò i pugni con me stessa, con la vita, e non mi darò la possibilità di lasciar andare quel casino, dentro proverò solo freddo. quel freddo che ho sentito in tutto questo tempo. il freddo che sento ogni mattina (quando mi alzo, dopo le notti insoni). e allora mentre sono qui, qui sul letto, dopo che ho visto quei post, dopo che ho letto righe di emozioni, ne ho fatto il pieno e allora le lacrime sono uscite. finalmente cazzo: era mesi che avevo bisogno di piangere. di piangere non solo di rabbia, di dolore, di paura. no, quando sento quei vissuti non riesco nemmeno a piangere. tutto diventa freddo, duro, rabbioso. ma poi basta così poco per trasformare il casino interiore e piangere di nostalgia, di gioia, ricordandomi che la vita nonostante tutto va avanti. solo che a volte ti sembra di trascinala, quasi come se dovessi tirarti dietro il peso del casino che hai dentro. e quanto pesa a volte quel casino? tanto, troppo. così tanto che pensi di non meritarti nemmeno di vivere. e quando accade, quando hai la sensazione di morire, vorresti che accadese il più presto perchè tutto ti sembra insignificante. poi bastano quelle righe, quell'emotività, quel casino di vissuti intensi che ti senti a casa, che ti senti aposto. naturalmente la fatica la senti, perchè come fai fatica a vivere il freddo della depressione, al contempo fai fatica a portarti dietro il casino delle emozioni forti; ma non importa. quello che importa è che per un attimo, anche solo un attimo, ho vissuto emozioni diverse, quelle che in genere mi fano bene al cuore. sì perchè di questo sento bisogno: di cose che mi fanno bene al cuore, che lo curano quel cuore che forse si sente troppo sballotato dalla fatica del quotidiano.
e allora capisco perchè porto avanti quelle battaglie personali: il riconoscimento della mia patologia, del mio vissuto e di ciò di cui ho bisogno, come l'importanza di integrare la realtà medica con quella umana, psicologica e sociale, o comunque la mia lotta per rendere una medicina più umana e accogliente. sì forse quelle battaglie che sono personali, ma anche collettive, sociali, mi portano a pensare che sono ragione di vita non solo perchè ci credo, perche mi hanno distrutto emotivamente, ma perchè penso che grazie a queste lotte, battaglie interiori e non solo, mi sento viva.
spegnermi la speranza di poter rendere il mondo socisanitario e socioasistenziale migliore è come togliermi la speranza di vivere. perciò si so che fare quelle battaglie, diventate ragione di vita, sono un fortissimo rischio per la mia salute, ma senza quelle battaglie, senza quel mettermi a rischio, senza la sofferenza non riesco a sentirmi viva. il problema è che a forza di fare a pugni con la vita, non sono più capace di continuare a stare male, a combattere senza sentirmi ascoltata, considerata e riconosciuta per quelo che sento dentro. sì, in un certo senso, la solitudine, il peso della soferenza, mi portano a doverla fare con altri quella battaglia. e forse non tutti sono disposti a mettere a repentaglio il proprio cuore e la propria vita per portare avanti quella lotta collettiva, che riguarderebbe tutti: operatori sanitari, del privato sociale, persone e famigliari. e forse per questa ragione mi ritrovo a essere sola, a combattere perchè più persone possibili, non passino mai quello che ho passato nella mia vita. No, nessuno deve essere trascurato, non ascoltato e sopratutto ignorato. nessuno deve e può essere violentato da chi ha potere: che sia un medico o qualsiasi altro professionista della salute. no, nessuno può e deve passare la merda che ho atraversato io: ognuno deve essere preso in carico per quello che è il suo problema, senza sentirsi ignorato, oppure senza sentirsi dire che il suo problema non è "Abastanza grave" per essere considerato. No, nessuno deve e può essere lasciato in dietro perchè ha una patologia per cui (prima vengono gli altri e poi tu). no, nessuno e ripeto, nessuno deve e può passare ciò che ho vissuto io. per questo non posso mollare la mia sofferenza, perchè lei mi ricorda la mia missione, il mio scopo esistenziale. sì, perchè quella battaglia, quella lotta che considero collettiva, per me non è solo una questione di principio, ma un bisogno esistenziale, la cosa che mi rende viva: sì, parlare di Dca, di medicina narrativa, di una medicina incentrata sulla persona e non solo sulla malattia, sono quelle cose che mi aiutano a rimanere in piedi. per questo devo continuare a parlarne, a scriverne, a confrontarmi con chi è adetto ai lavori. perchè se smetto di tenermi in relazioni, di communicare e sopratutto di comunicare su questi temi, dentro mi sento morta.
sì questo è il mio compito, il mio ruolo: parlare, parlare di questi argomenti, condividere la mia storia e farlo con chi ne ha bisogno, perchè parlare di me, di ciò che vivo, di temi legati alla crescita personale e non solo è ciò che mi fa sentire viva.