venerdì 23 febbraio 2024

Il dolore parlante!

Ora che vi o raccontato come sono andati questi anni, è arrivata l’ora di racontarvi di me, di come sono andate le cose dal punto di vista emotivo, nell’ultimo anno e mezzo. Sapete bene che questo blog è uno spazio in cui parlo delle mie emozioni, dei miei stati d’animo, ma soprattutto delle paure con cui mi sono trovata a confrontarmi in quest’ultimo periodo della mia vita. Come dicevo nei post precedenti le situazioni vissute sono state svariate, fra andarmene di casa, prendere un appartamento in affito, viverci per due anni intensisimi e decidere di acquistare casa mia con il mio ragazzo. Nel mezzo di queste scelte che sono sepur fondamentali, ci sono stati dei momenti in cui sono stata tanto, tanto male. questo sia per la mancanza di mio zio, ma ance per i miei momenti contorti che vivo con l’alimetazione e il mio corpo. Sicuramente, rispetto a quando ero dai miei il mio rapporto col cibo è cambiato molto, sepur ci sono ancora dei momenti di disorganizazione. Una disorganizazione che si estene non solo nel cibo, a anche nella gestione del mio tempo e soprattutto nella gestione del sonno. Quando queste due cose sono disregolate, anche il mio rapporto col cibo e col corpo si scompensano molto in fretta. In più come ho sempre detto, io non sono per nulla maestra della costanza, anzi, il mio forte è l’improvisazione, l’essere libera e decidere cosa fare della mia vita di volta in volta. Questo però non sempre coicide con il mio corpo e quindi con la mia salute: lui ha bisogno di ritmi e sporatutto di essere preso in braccio con costanza, senza dimeticarti mai della sua presenza. Questo per me è un allenamento costante, perché non sempre, anzi molto raramente, riesco a prendermi cura di me stessa e del mio corpo. E a proposito del mio corpo c’è stato un momento che lo odiavo così tanto da procurarmi tagli sulle gambe e le braccia. Non vi dirò come lo facevo, ance perché è poco rilevante, quello che però posso dire con fermezza e che aveniva in un periodo molto brutto della mia vita: il peso delle emozioni che vivevo in comunità psichiatrica dove facevo servizio civile avevano incominciato ad angosciarmi, quasi a seppelirmi dietro all’angoscia che sentivo ogni giorno; ma poi la morte di mio zio aggiunta all’odio che ho e avevo per il mio corpo sono stati fattori scatenanti per un buon periodo della mia vita. Fortunatamente il mio ragazzo se ne è accorto in fretta e grazie al suo aiuto e alla presenza dello psicologo che mi seguiva all’epoca sono riuscita a uscirne smettendo di farmi del male fisicamente. Questo non mi ha impedito di continuare usando il cibo come misura di compenso alle emozioni che mi facevano male, ma soprattutto per non pensare a come mi sento e mi sentivo nei confronti del mio corpo: ancora dopo anni, per quanto il mio rapporto col cibo sia cambiato molto,  mi sento enormemente troppo. Troppo piena di emozioni, ma soprattutto troppo grande per chiunque mi guardi. Si da una parte desidero, necessito quasi di vole essere vista, dall’alra, come è stato sempre, voglio risutare invisibile perché così tutti possono lasciarmi stare ed eviare di guidicarmi esteticamente. Tutti mi dicono che sono “bella” e forse è vero, ma quando me lo dicono, mi sembra quasi superduo, perché credo che stiano solo sotolineando quello che è il mio corpo. La verità è che quando il mio ragazzo me lo dice, capisco che è anche dentro, di cuore e allora non mi da fastidio, ma quando lo fanno gli alri, mi sembra come se metessero in mostra un corpo che vorrebbe solo essere invisibile, non visto. A volte, mi piacerebbe che solo la mia anima, la mia voce fossero presenti e che il mio fisico fosse assente. Naturalmente questo non è possibile, ma fa capire quanto un po’ per come mi anno fato sentire, un po’ per come mi giudicavo io, che per quanto si possa cercare un equilibrio alimentare e fisico, che certi retaggi del disturbo alimentare si presentano ancora. Un esempio è quando mangio troppo e mi sento gonfia, pure in quelle circostanze vorrei sparire, ma so perfettamente che depo portare pazienza e superare quel momento di paura o sconforto che sento dentro. Naturalmente, conoscendo il mio corpo, ho imparato a non esagerare, anche perché lui mi sa dare i segnali per farmi capire che sta male, ma ancora oggi casco nell’alimentazione disorganizzata. Questo perché per trovare un equilibrio serve tanta energia e quando tutto ciò lo fai con l’aiuto di poche persone, disconesse fra loro, non è facile farsi aiutare. Fino ad ora ci sto provando e cercando di non sentirmi troppo in colpa sto cercando di dirmi che piano piano andrà sempre meglio. I tagli sono finiti, ma la fatica ad accettare il mio corpo e certe parti del mio corp, nonostante abbia qualcuno che mi ama, faccio ancora fatica ad accettarlo. I tagli erano l’alternativa al cibo, un altro modo per evitare di stare troppo male fisicamente, ma ad un certo punto ho capito che non poteva andare avanti così. Questo soprattutto dopo che il mio ragazzo se ne è accorto e mi ha detto: “tu non devi fare qualcosa per gli altri, per i medici che vogliono aiutare, tu devi fare qualcosa per te, per fare stare bene te stessa”. Da quel momento, per quanto possa sgarrare molte più volte, posso dire che ci sto provando molto di più. Inoltre dopo il servizio civile o imparato a conoscere meglio l’ansia, che probabilmente avevo anche prima, ma non la conoscevo così bene: un ansia che a volte, in certi casi, mi ha totalmente paralizzata, quasi impedendomi di portare avanti qualsiasi cosa. Sì, penso che fosse quell’ansia a impedirmi di continuare l’università: l’ansia per gli esami, ma soprattutto per le aspettative che tutti avevano nei miei confronti. D’altra parte, risalgono proprio agli anni dell’università i miei attachi di panico più pesanti. Oggi esistono in maniera molto più ridotta, si presentano soltanto quando mi trovo ad affrontare emozioni che mi generano frustrazione. Quello ce cerco di fare per affrontarla è di lasciarla correre e di non dargli troppo peso, perché se la enfatizzo diventa ancora più pesante e difficile da gestire. Se invece lascio perdere, passa e riesco ad affrontare quella data situazione in maniera più tranquilla. Questo non significa che non esiste, nzi, penso di riuscire a darle un nome e riconoscerla molto più in fretta, facendo così ho modo di verbalizzarla a chi mi sta vicino e quindi riesco a gestire tutto in maniera più serena. Naturalmente quegli anni di depressione, in cui l’angoscia faceva da padrona alle mie giornate, è stata fondamentale per la mia crescita personale e per aiutarmi ad affrontare meglio, ora che sono un po’ cresciuta, cert momenti complicati e difficili che mi trovo ad affrontare. Ciò nonostante, i momenti in cui la pazienza finisce, in cui non ho voglia e che resterei a letto ci sono sempre, non mancano mai, ma a differenza del passato ho imparato a non farmeli pesare troppo. Questo perché so che come sono arrivati, a un certo punto se ne andranno e daranno luogo a emozioni diverse, nuove, meno angoscianti.

Un'altra cosa di cui mi sono resa conto, è che in passato pasavo molto fra emozioni negative vissute all’estremo e momenti più positivi e forti in altri momenti. Nessuno mi ha mai fato una diagnosi, ma a volte mi sembra di avere il sospetto di vivere dei periodi molto lunghi di umore basso, alternati a dei momenti in cui il mio umore è più alto e quindi più ottimista. Questo è solo un mio sospetto, anche perché rispetto al passato, questo  cambio di umore da basso ad alto e vice versa, non è più così evidente, anche se si presenta appunto variabile  in alcuni periodi dell’anno, in particolare in autunno,  inverno e prima vera. Questi sono i periodi in cui l’umore cambia molto. Lungi da me fare diagnosi errate, penso solo che forse il mio umore è stato coivolto molto dalle esperienze che ho avuto in passato e che forse, mi sono trainata da mia mamma, parte di questo tratto carateriale, in cui lo stato dell’umore cambia molto in fretta da positivo a negativo. 

  Queste consapevolezze, acquisite negli ultimi anni, sono derivate da un lato dall’osservare in maniera distaccata e fredda i comportamenti di mia mamma e di mio fratello, al contempo ance dall’esperiena fatta all’interno della salute mentale. In quel contesto avevo a che fare con le emozioni vissute in maniera estrema e ho imparato a conoscere meglio quelle che erano le varie emozioni, stati d’animo e quelle che erano le varie situazioni di sofferenza. Ciò nonostante penso ce oltre alla malattia mentale esista anche il carattere delle persone, che non deve far dimenticare che prima tutto si è persone e in quanto tali, non sempre si comportano bene. Questo significa che per quanto riconosci la malattia, devi sempre ricordarti che in quanto persone anche loro fanno i loro errori e che come tutti anche loro hanno la possibilità di trovare lo spazio giusto nella vita. Devono solo essere più pazienti, perché a differenza di molte persone necessitano di più tempo. Un tempo che è prezioso per aiutarci ad affrontare la via con magiore forza e determinazione. 

 

 

    

   

mercoledì 21 febbraio 2024

Il mio umile punto di vista: quello che ho vissuto negli ultimi anni!

Se per me questi sono stati anni stimolanti in cui ho imparato molte cose e ho trovato l’equilibrio che mi serviva per stare bene e vivere la mia vita con la serenità che serviva per affrontare anche i momenti difficili con la sanità mentale necessaria. Ciò non significa che è stato tutto roseo e fiori: ci sono stati momenti di grande difficoltà sia per me e il mio ragazzo, ma anche per le nostre famiglie. Naturalmente in questo blog parlo di me, di quello che vivo e di quello che faccio ogni giorno, quindi mi limiterò a parlare di quello che è sucesso all’interno della mia, fermorestando che siamo sempre stati uniti in tutti i momenti di estrema sofferenza. 

Inanzitutto devo dire che quando scrivo qui, lo faccio sia per aiutare chi ha vissuto o vve situazioni simili, ma soprattutto per un benessere mio personale. Questa è sempre stata la ragione per cui ho aperto questo blog e per cui penso di continuare ancora oggi, dopo tanti anni che condivido quello che sento. Al di là di questo, posso dire che sono stati degli anni tormentati per la salute dei miei famigliari, in particolare di un mio zio e di mio padre. La cosa particolare è che sia quando ho scoperto la malattia di mio zio che quella di mio papà non ero a casa. Nel primo caso ero ancora a Trento, in università, nel secondo vivevo già a Rovereto assieme al mio ragazzo. In entrambi i casi, queste communicazioni sono avvenute tramite messaggio da parte di mio fratello: anche questo non lo ritengo un caso, in entrambe le circostanze è toccato a lui darmi queste comunicazioni. Naturalmente non ho mai ritenuto che questa scelta fosse la migliore: credo che avrebbero dovuto farlo i miei genitori, ma naturalmente avevano paura, almeno questa era la sensazione che avevo. Penso avessero paura di affrontare l’argomento al telefono: avrebbero forse voluto vedermi, ma io putroppo avevo posto distanza nei loro confronti. Questo non per cativeria, ma perché mi rendevo conto che non riuscivamo a comprenderci. Si, spesso i miei genitori esageravano nel imporre le proprie scelte e soprattutto nel communicare quello che volevno da me, tanto da arrivare a momenti di violenza. Loro non hanno mai dichiarato che quei momenti dipendevano anche da loro, ma anno sempre deto che era colpa mia. Quello che penso è che le responsabilità erano reciproche e che impormi le loro scelte solo perché erano quelle giuste secondo loro, non ha mai funzionato con me, tanto che ho sempre cercato di fare quello che sentivo anche se non sempre era semplice. Penso infatti che nonostante non fossi libera di essere me stessa totalmente, ho sempre cercato di navigare in quel clima fatto di pesantezza e sofferenza continua. Tutto era pesante sia perché non ero libera, ma soprattutto perché le emozioni erano comunicate con il silenzio: un silenzio pesante che dovevi interpretare ogni volta. E a un certo punto, capendo che non ci saremmo mai compresi, ho deciso di andarmene di casa.  Ci hi conosce bene sa perché ho portavo aanti quella decisione e soprtutto perché pensavo che tenere i miei genitori alla larga dalla mia vita, fosse giusto. Giusto per crescere per imparare ad essere donna. Sì avevo bisogno di quello spazio, di sbagliare per capire cosa fosse giusto; ma soprattutto sperimentare la vita che non era solo fatta di sofferenza e fatica, ma anche di tanta gioia e soddisfazione. In altre parole avevo bisogno di uscire dalle dinamiche di potere nelle quali mi sentivo ingabbiata: si quando ero li mi sembrava mi macasse il fiato e soprattutto mi sembrava di non andare mai bene. Qualsiai tentativo facessi per migliorare le cose, sembrava non andare bene, quasi che era necessario sotolineare ogni cosa. Per questa ragione appena sono andata via mi sentivo meglio, almeno apparentemente. Questo per dire che se da una parte sono stata costretta ad andarmene, dall’altra andarmene era la cosa giusta. Ciò non significa che non ne abbia sofferto: il primo anno fuori casa non avevo assolutamente voglia di vivere, di provare a mandare avanti la mia vita, questo perché pensavo che non valeva la pena di combattere. Mi sentivo un po’ come il guerriero che cadeva in guerra che aveva bisogno di fermarsi per metabolizzare la sua sconfitta. Questo tempo come dicevo è durato quasi un anno in cui tutto è andato perduto, in cui avevo messo in strambai totalmente ogni attività che avevo prima del covid. Si andarmene fu uno shock, ma col tempo sono riuscita a trovare il mio equilibrio, anzi siamo riusciti a trovare il nostro spazio, la dimesione necessaria per capirci e stare meglio.

Vi raconto queste cose non per recriminare qualcosa, lo ha già fatto qualcuno al posto mio qualche tempo fa, ma solo per dire il mio punto di vista e spiegare come sono andate le cose almeno dalla mia prosettiva. Quella degli altri è importante, ma non fondamentale. Questo per dire che a quegli eventi io c’ero e posso narrare come sono andate le cose dal mio punto di vista, che pur misero, credo possa bastare. Al di là di quello che si può pensare se penso a quei periodi in cui non riuscivamo a comunicare posso dire che quelle sofferenze mi colpirono fortemente, quasi mi scioccarono, ma agli altri non feci notare nulla. Sembrava come se fossi rimasta impassibile difronte al dolore. La verità è quando presi le distanze nemmeno io avrei voluto sapere certe cose tramite un messaggio, ma piuttosto in faccia, dal vivo, ma loro ritenevano giusto fare in questo modo, usando mio fratello per fare da tramite. Questa però non era una novità, a volte lo facevano di usarlo per comunicarmi le cose che pensavano, piuttosto che farlo direttamente loro. Traresto mio fratello fino a un anno fa (e ancora oggi, senza dirmelo direttamente) ha voluto e vuole fare da tramite, ma ad un certo punto ha apertamente dichiarato di starsene da parte. Anche questo posso dire che non ho sempre capito, almeno non ho mai capito quale sia la sua posizione: secondo me dire quello che penso a volte gli fa comodo, altre volte stare da parte al contempo gli conviene. Quindi come un tempo, anche oggi st un po’ dalla parte che gli interessa, in base a quello che gli fa comodo. Dopo quei tempi in cui allontanai i miei dalla mia vita e mio fratello cercava di avicinarmi, io ho ripreso ad avere rapporti con la mia famiglia, ma non per questo sempre comprendo le loro scelte, le cose che pensano ele decisioni che a volte portano avanti al di là di come la penso. Sì, spesso vorrebbero che andassi da loro, ma io non sempre vado, a volte mi invento anche delle scuse per fare quello che sento, un po’ come facevo quando ero da loro, ma questo ritengo sia l’unico modo per non perdere toalmente i contatti. Non a caso, mia mamma oggi invece che dirmi le cose, mi fa capire in silenzio che non è d’accordo, ma rispetto a un empo si guarda ben dal dirmi troppo, questo penso perché ha paura di perdermi. 

In tutto queto voi mi chiederete perché non provo a dire quello che penso con sincerità? La risposta è che dire tutto può mettermi a rischio perché non ho più modo di scegliere liberamente. Spesso mi trovavo in mezzo a due fuochi: loro che vorrebbero impormi ogni cosa e io che vorrei poter fare quello che sento. Per mettere insieme queste due cose da una parte cerco di fargli fare quello che vogliono per evitare scontri e dall’altra appena posso cerco di fare quello che sento senza dirgli esplicitamente come stano le cose. Questo equilibrio distorto, per ora è l’unico che trovo fattibile per non stare troppo male e soprattutto per evitare di ricevere giudizi/pareri non richiesti. Dall’altra il mio atteggiamento di portare pazienza e accettare certe cose deriva dal fatto che so che su certe cose non ci capiamo, quindi per evitare scontri inutili accetto mal volentieri le loro decisioni. Ciò non significa che non mi fa male, ma forse credo che sia il male migiore. La cosa giusta credo che sarebbe essere sinceri da parte mia, ma al contempo fare in modo che loro non siano pesanti e insistenti per ogni cosa che gli dico. Ad oggi posso solo dire che questa lotta di imporsi e esprimere la mia, è ancora in atto, ma quello che mi rende serena ad oggi, è che riconosco che è una responsabilità reciproca, senza arrabiarmi con il mio ragazzo e quindi capisco che la mia non è la soluzione migliore, ma fino a quando non  ne ho una migliore, credo che continuerò a usare questa strategia. Ripeto, questa non è quella giusta, ma quela che mi fa soffrire meno. E voi ne conoscete un’altra, una meo dolorosa, che aiuti a non arrivare al conflitto ogni volta, io sono la prima ad ascoltarla. Al di là di tutto ad oggi le due persone che sono state male una è presente: mio papà con il quale ho un raporto discreto (diciamo che come mio fratello li vedo volentieri, ma non sento l’esigenza di sentirli e chiamarli ogni volta cosa che invece deve accadere con mia mamma) e mio zio che invece è venuto a mancare a giugno del 2023. La sua è stata una morte straziante per tutti, con scenari che non conosco bene nemmeno io, ma quello che so è che da quando è arrivato in Italia per curarsi in poi è stata una battaglia continua. Una bataglia che purtroppo a un certo punto non ha potuto più portare avanti come avrebbe forse voluto. Sì, sono stati anni difficili, fra chenioterapie, raditerapie e farmaci di vario tipo, a momenti stava bene e a tratti alterni stava peggio fino ad un anno prima della sua perdita. Quell’anno è stato il più difficile per tutti perché lui non riusciva a trovare più terapie che potesero aiutarlo, se non terapie del dolore, che putroppo col tempo non riustavano più efficaci nemmeno loro. In quest’ultimo anno abiamo tocato la realtà delle terapie paliative e abbiamo sperimentato quanto è straziante vedere una persona soffire atrocemente senza poter fare assolutamente nulla. Sì, in quei casiti senti impotente e cerchi di far vivere momenti semplici ma importanti, che ti permettano di dare un po’ di normalità anche nello straordinario viaggio della malattia terminale. In questo viaggio quello che ho compreso è che il paziente/la persona ho bisogno di vederti forte, combattivo, almeno vuole godersi con te i suo ultimi tempi di vita, perché come tu sai, anche lui sa che quelli sono gli ultimi attimi che può viversi con te. E con questa consapevolezza, con la consapevolezza di dare un po’ di presenza, ho cercato di non piangere mai dnanzi a lui e questo è stato quello che gli ha permesso, oltre a un altro zio, di parlarmi fino a una settimana prima di andarsene. 

Pure con lui, come per la magio parte dei miei parenti, ero solita vederlo e non sentirlo (questa è una mia carateristica che ho con tutti), ma ero molto legata sia perché ho passato granparte dellla mia infanzia (soprattutto d’estate) a casa sua, questo quando mi recavo in Albania per le vacanze estive. Inoltre, sempre quando ero piccola, lui si prendeva cura della mia nonna materna e quindi con quest’occasione era solito unirsi tutti (zii, cugini, nipoti) da lu, a casa sua. Quindi sì, dopo un distacco iniziale ho seguito entrambe le malattie e ho accompagnato mio zio fino alla fine dei suoi giorni. Come tutti, anch’io e mio fratello abbiamo sofferto molto e ancora oggi quando se ne parla fa molto male, ma da quel momento ho imparato a considerare la salute e la cura di questa in modo molto più serio di prima. Questo non significa che oggi faccia ancora alla perfezione, ma penso che rispetto a un temo sto riuscendo a prendermi cura di me e della mia salute molto di più naturalmente la strada è lunga, ma per iniziare biosgna fare piccoli passi, perché pensare di cambiare tutto dal’oggi al domani non funziona, almeno non con me. Per questa ragione ho contattato il medico della sindrome di Alstrom, ho ripreso da pochissimo ad arrampicare e spero di potermi dedicare sempre melio al mio benessere fisico e mentale.

Incominciare è facile, continuare ancora di più!

“Incominciare è difficile, continuare lo è ancora di più”. 

Questo è quello che pensavo ieri, mentre mi stavo preparando per andare dai miei. Pensavo che iniziare a studiare mi risulta molto semplice, ma continuare, portare avanti questa attività mi risulta ancora più difficile. E pensavo questo anche oggi metre sono andata a scalare dopo due anni che non lo facevo con regolarità. Stre in parete per un paio di ore, per quanto difficile, per quanto doloroso in alcuni momenti, mi sentivo felice. Sì, pensavo che iniziare è facile, ma continuare, mantenere continuità in qualcosa è la cosa ancora più difficile. D’alonde non sono mai stata maestra della costanz, ma a differenza del passato, voglio provarci nuovamente. Voglio provare a credere un po’ più in me stessa

E mentre scalavo, o pensato a come certe scalate sono simili alla vita. Ciò significa che certi momenti della propria esistenza, sono come certe vie ripide e tortuose, questo perché per arrivare in cima, a volte, è necessario combattere, crederci e ricordarsi sempre l’obiettivo verso cui si vuole andare; ovvero la propria meta, che per quanto possa essere ardua da raggiungere, non è impossibile ottenerla. E se penso a certi momenti della mia adolescienza, penso si che sia stato complicato avanzare: spesso ti sembrava di fare tre passi in dietro e uno in avanti, un po’ come il leone quando intende combattere per ottenere la sua preda. Sì, quelli erano anni in cui tutto sembrava difficile, ma un passo  alla volta, sono riuscita a trovare il mio equilibrio: quell’equilibrio che da un po’ di tempo a questa parte mi sta aiutando a vivere le cose da un punto di vista più sereno, meno affanoso di un tempo. Si, quelli erano tempi in cui la depressione faceva da maestra, tracciava il tuo quotidiano. Ma poi, ppasso passo, fra una via e l’altra, fermandomi e ricominciando, sono riuscita ad andare avanti, a percorrere la mia strada: una strada unica nel suo genere, un po’ come lo siamo noi eseri umani, ma mia un percorso che mi ha insegnato a fare i conti con le difficoltà non solo dal punto di vista emotivo, ma nche fattuale e concreto. Sì, a un certo punto fra la conquista di autonomie nuove, ho incominciato a fare i conti con la concretezza della vita: una concretezza che ti dava e ti da la possibilità di renderti conto che spesso i problemi, le difficoltà sono prima di tutto nella propria testa. E questa forse, è stata la consapevolezza che mi ha fatto comprendere che a volte certe cose sono più facili a farsi che a dirsi. Sì, mi ricordo quando presi il bus per la prima volta per raggiungere l’università: in quel momento avevo un casino di confusione nella mia testa e pensavo di non farcela. Poi, a poco a poco, facendo le mie esperienze, ho compreso meglio che prima di fasciarsi la testa bisogna rompersela. Ciò significa che a modo mio, con l’aiuto di tante belle persone, ho imparato a fare molte cose: dalle più semplici (come pulire un bagno) alle più complesse (come firmare un documento fiscale, o acquistare la propria prima casa). Ad oggi sono molto sodisfatta dei risultati che ho raggiunto, ma un tempo, metre ero sull’arduo cammino della vita, mi sembraa tutto così complicato, difficile, impossibile. Per questo ho imparato ad affidarmi e fidarmi prima di tutto di me stessa e poi di chi ha voluto e vuole condurmi su questa strada. E di gente bella c’è ne sempre tanto, spesso il problema è saperla veder. Perché le cose brutte, negative sono facili da scovare, a quelle positive, belle, che danno sodifazione, sono più complicate da considerare. Proprio per questo penso che negli ultimi anni le difficoltà sono state tante, tantissime, ma al contempo i momenti belli, quelli in cui ho potuto essere me stessa sono stati tanti, molti. E di tanto in tanto, si presentavano per colorare con colori diversi, sfacettati, la nostra esistenza: fatta di tanta gioia, soddisfazione, ma come dicevo prima non sono mancati i momenti in cui non ci credevamo, in cui pensavamo di essere da soli. Ma assieme, in due, ci siamo fatti forza, abbiamo cercato di tirare fuori tutto il sangue e il dolore per sperare di trovare sempre larcobaleno dopo ogni temporale.

Ad oggi sto provando a recuperare i pezzi lasciati in dietro, cercando di unire i puntini sulle “I” e provare a continuare tutto ciò che avevo lasciato in sospeso ancora prima del covid-19. Sì posso dire che sono stati anni in cui ho provato a mettermi in gioco, non solo in autonomia, ma anche nel provare a fare esperienze nuove: come quella del servizio civile, fatto all’interno di una comunità psichiatrica residenziale. Quest’esperienza mi ha fatto capire che in certi momenti della via, quando incontri e tocchi con mano la sofferenza, questa si presenta in maniera viva e vivida nella tua vita e quando la tocchi con mano, pensi che è troppa, che quasi ti sofoca. Si quando entravo in quella comunità sentivo che anche un solo “ciao” diventaa impossibile da ottenere, che anche una parola, un gesto, a volte, erano troppo. Troppo per vivere, per provare a stare in piedi: sì li dentro stare in piedi cherte volte c’è voluto coraggio e quando a un certo punto ho pensato di lasciar stre, ho pensato che era giusto continuare. Continuare per dimostrare prima di tutto a me stessa e poi agli altri che c’è la posso e c’è la potevo fare. Prima di quest’esperienza non ci credevo e non ci avvrei creduto un attimo, non avrei mai pensato che poteo osare un po’ di più e c’è l’avrei fatta. Forse, questa, è stata una delle prime volte, dopo la maturità, in cui mi sono sentita realizzata e in cui ho pensato che se avessi voluto avrei potuto portare avanti qualsiasi cosa. La differenza era che prima non solo non ci credevo, ma nemmeno ci provavo. Oggi, prima di dire che qualcosa è impssibile prima ci provo e poi dico che non ci riesco. In altre parole, sento di aver vissuto un periodo che mi ha aiutata a cambiare prospettiva. Naturalmente come dicevo prima, iniziare è semplice, continuare è più complicato, ma oggi, dopo il servizio civile, penso di starci provando un po’ di più, meglio, a stare bene, perché   

martedì 20 febbraio 2024

Il potere del silenzi non ascoltato!!!

qualche giorno fa una persona a un viaggio di cui ho fatto parte, visitando Palermo, disse: "un'altra cosa chenon piace a noi Palermitani è il silenzio, siamo un popolo che ama fare confusione` A quest'affermazione quel che ho pensato è che Il silenzio, spesso, fa molto più rumore di tante parole. La verità è che pochi sanno capirlo,comprenderlo, ascoltarlo. Molti preferiscono il rumore, il casino delle parole,perchè quelle si capiscono, si condividono daolto più tempo. Sìè proprio vero, le parole non dette, certi silenzi prolugati non si sanno capire e nella pretesadi riempirli si cercano mille e lille parole. In questi anni, spesso ho saputo dare più risposte col silenzio, piuttosto che con le parole. È vero, non sempre si sono capiti, ma io credo che chi volesse intendere, ha saputo perfettamente capire, anche quando michiedevano spiegazioni da ogni dove.spiegazioni che non ho saputo assolutamente dare: perchè spesso i miei silenzi si dimostrano esserepiù pesanti delle parole. Si, dasempre credo che condividere sia importante, ma credo sia importante farlo con chi capisce, o con chi vuole veramente capire. Chi non vuole prendersi il tempo di ascoltare, non è più il tempo di aspettare: la mia vita va comunque avanti con o senza coloro che hanno provato a colpirmi quando stavo male. D'altronde cercavo solo comprensione, ascolto e rispetto per il mio dolore. Chi non è rimasto per me può non essistere, chi è rimasto, e sono pochi i prediletti, posono capire quanto dolore c'è stato in questi anni. c'è stata anche tanta soddisfazione, ma come dicevo prima, pochi, chi mi vuole d'avvero bene, ha saputo rimanermi accanto rispettando i miei silenzi accettandoli per quelli che erano e che ancora oggi sono. Solo loro hanno il diritto di poter giudicare, criticare, valutare il mio percorso: la strada che ho costruito e costruisco ogni giorno con fatica e sacrificio. Quel sacrificio che per molti è solo invidia forse, è stato quello che mi ha permesso di rimanere in piedi.

non giudicare prima di sapere!

se mi chiedeste dove sono finita in questi anni, posso solo dirvi che ho imparato a stare al mondo, a fare i conti con le mie paure. A diventare adulta non solo con le parole, ma anche con i fatti. Quando uscì di casa quasi 3 anni fa non mi sarei mai immaginata il percorso che avrei intrapreso: vivere in una città diversa, con il mio ragazzo, crescendo fra le difficoltà e gioie della vita. E poi, è arrivata l'ora di assumersi responsabilità, di pagare le bollette, di caricarsi di un mutuo sulle spalle.. responsabilità insomma. Responsabilità che ad oggi ti rendono orgoglioso di quello che fai, di quello che sei. Ma per costruire quella strada, ho dovuto sbagliare svariate volte e ancora oggicontinuo a sbagliare... perchè crescere significa provare a fare del proprio meglio. Probabilmente da certe paure scappo ancora, e mi spaventano alquanto... ma si impara ac crescere un passo alla volta. non si può pensare di imparare tutto subito.. perquesto chiedo scusa a cêi ho fatto del male, a chi ho chiuso le porte in faccia, a colloro che mi hanno visto andarmene... non sempre è stata la risposta dei miei problemi, ma spesso è stata la mia salvezza andarmene. Per questo considerate pure "scappare", "tirarsi in dietro) come parte del proprio percorsodi vita. Spesso si va via, per protegerci, per non farsi fare troppo male. Per questo quando accade, non pensiate che chi avete davanti sia un codardo, magari semplicemente ha paura e quello è l'unico modo che ha per dirvelo. per questo imparate a "guardare oltre" alleazioni altrui: magari vogliono dirvi molto più di quanto voi posiate pensare. Magari vi stanno dicendo che hanno paura,chenon c'è l'ha fanno, che semplicemente necessitano di essere ascoltati un po' di più prima di giudicarli come persone che non sono in grado o che semplicemente stanno in silenzio. E sopratutto chi vive il buio e il silenzio personalmente, dovrebbe riuscire a "giudicare meno" quando non sa cosa vive l'altra persona.
Per questo, mai giudicare senza saperee se non si sa piuttosto che parlarechiedere personalmente ai diretti interessati che magari possono darvi le risposte giuste. Perchè senza saperlo, potreste ferire chi è veramente coinvolto. Per questo vi pregosempre di informarvi e poi esprimere a conti fatti il vostro parere, ma non prima di aver discusso con i diretti interessati'E se loro non se la sentono, rispetate il loro silenzio. Spesso il tempo vi sugerirà le risposte migliori, quelle basate sul tempo di tutti e non solo di chi vorrebbe risposte senzaricordarsi dei tempi di chi abbiamo davanti. 

lunedì 12 febbraio 2024

Come vivono le persone Sordocieche?

Questo è uno dei miei ultimi Video fatti in Collaborazione con la Lega del Filo d'Oro e la piattaforma Multimediale Wil Midia.


Buona visione!!!

https://youtu.be/Ejf_sKyk_3o?si=WZ3QOU3PV3oxw_QZ 

Nuove Consapevolezze!

e per quanto certe cose restano, la vita va comunque avanti che tu scelga di viverla in prima persona, o che tu scelga di subirla.

Io ho scelto di seguirla: di seguirne gli eventi, perchè so che la vita va per come deve andare, accettando vittorie e fallimenti allo stesso modo: come opportunità, esperienze per crescere e diventare persone sempre più consapevoli. sì, in questi anni non sono cambiate tante cose, o forse si, è cambiato tutto, ma le sofferenze, le battaglie di un tempo sono anche quelle di oggi. Solo che oggi, ho una consapevolezza diversa: la consapevolezza che tutto parte da noi e che forse tanto di quello che vivevo era ed è costrutto della mia testa. Ciò non sigifica che non esista la sofferenza: ma forse tanti dei pensieri che facevo un tempo eranofrutto del mio casino mentale ed emotivo. Arrivare a questa consapevolezza e sapere che io ho la responsabilità di combattere la mia stessa bestia:me stessa, è doloroso ma necessario per provare a cambiare le cose. Ecco cosa è cambiato: è cambiata la consapevolezza che ho della mia vita, della mia salute, ma sopratutto rispetto a un tempo, è giunto il momento in cui sto provando a cambiare le cose. Non dico di riuscirci: credo che per quello ci voglia tempo, ma so che ora non è più una lotta fra me e i medici, ma piuttosto fra me stessa e il mio corpo. In altre parole solo e soltanto con me stessa e col mio dolore.

sì, di cose sono cambiate, fra queste, che ho cambiato casa, perchè ne ho acquistata una mia, maper il resto, la vita è sempre quella: università da concludere, salute da gestire soldi da monitorare... e tutte le responsabilità che ci si prende crescendo.

una battaglia collettiva!

 Certe notti sono difficili da digerire, non riesci proprio a prender sonno anche se sei sveglio da più di 24 ore e hai dormito si e no 4 ore in totale.

Sì e mentre sono qui a Palermo, in Sicilia z, sono qui che penso agli ultimi giorni al casino delle barre braille, alle giornate passate ad aspettare non si sa poi che cosa. Non so nemmeno io: l'unica cosa che so è che volevo che andasse tutto alla perfezione. Casa pulita, senza una briciola, le persone che non criticano, la gente che ti aiuta.. insomma sono quelle giornate in cui la pazienza è finita e se te ne chiedono un briciolo in più sei già stufo e non hai voglia di niente. Questi spesso sono i periodi che vivo quando non ho qualcosa che mi sfinisca.

Fortunatamente delle note positive ci sono: sono qui dopo 10 anni che volevo venirci e questo perché ho accanto una persona Splendida che mi permette di fare quello che sento sempre, anche quando tutti direbbero che non è la cosa giusta. Sì, grazie ad Enrico, riesco a fare quello che mi sento, senza sentirmi giudicata. Questo non solo perché è il mio ragazzo, ma proprio perché è lui fatto così. Un'altra nota positiva è che grazie alla Lega del Filo d'oro ho trovato una guida per poter riprendere a fare sport: non uno sport qualunque ma la mia amata arrampicata.

Sì sono almeno 3 anni che non scalo, mala mia passione non è mai mancata. Continuo a desiderare di scalare, di farlo da diverso tempo. questa sì che è stata una notizia straordinaria!!!

Ebbene sì, mentre sono qui sul letto a piangere, penso a tutte le cose che vorrei digli, a tutto quello che per me significa questo sport. Non è solo uno sport per stare bene, per me l’arrampicata una terapia: al pari della psicoterapia, dei farmaci che mi prescrive il diabetologo... sì, per ce è un po' come se mi ridessero l'aria da respirare. E questa non è retorica: è quello che sento veramente.

E mentre sono qui vorrei dire tante cose: vorrei dire che spesso quella battaglia non è fra me e lui, nonché meno fra me e la parete. No, quella battaglia è solo e soltanto fra ME E ME STESSA, contro solo con mio corpo che mi ha massacrato e l'ho massacrato per anni. E che io vorrei fargli una proposta: una di quelle dure, ma che se vinta ne sarà valsa la pena veramente!

La proposta che vorrei fagli è di combattere assieme a me, in qualsiasi modo, pur di vincerla quella battaglia:una battaglia fatta non tanto del sudore e della fatica degli allenamenti, ma piuttosto del sangue che esce dal mio cuore per provare a cambiare le cose. Sì, quando sono li, li appesa fra le corde a combattere con le prese è solo un modo diverso di massacrare il mio corpo e cuore: scaricandolo dal entro di me a fuori, sulla parete, fra le prese. Sì, la mia sfida sarebbe fagli leggere il mio manuale, il famoso libro che vi inviai tanto tempo fa "Una Battaglia con(tra) me stessa", che forse in maniera embrionale inviai in questa chat. Sì, vorrei digli che il mio sogno è il para climb ing, ma non è questo l'importante: quello che è importante, quello che sarebbe meraviglioso, è trasformare quella battaglia dentro di me, in una battaglia collettiva, in cui la vittoria non vedere essere solo mia. Io ne sarò il soggetto coinvolto direttamente, ma se avremmo il coraggio di provarci, ne avremmo guadagnato tutti. Se invece decidiamo di lasciar perdere, di mollare, di non provarci, sarà solo una perdita per tutti. Prima di tutto per me stessa.

Ecco, queste sono le cose che sento stasera, mentre sono qui in questa città che sa trasmetterti paura e liberà insieme.

forte come la morte è l'amore: in memoria di uno zio speciale!

sempre durante il mio matrimonio ho scritto questa lettera, dove parlavo con mio zio. Anche questo testo è stato emozionante, vivo di ricord...